Cosa cercano le startup italiane? Ricerca della Mind The Bridge Foundation
La Survey 2011 "Startups in Italy. Facts&Trends" mostra la realtà delle startup italiane: "bootstrappo ma non mollo. E sogno una venture in compagnia".
Autore: Redazione ImpresaCity
I nostri giovani talenti non se la sentono proprio di mollare, anzi. Si stima siano almeno un migliaio le richieste di finanziamento che i venture capital fund e business angel networkraggruppati intorno al VC Hub, il gruppo informale che raccoglie i principali investitori italiani, ricevono ogni anno. Un flusso che, pur in assenza di dati analitici, risulta in crescita significativa negli ultimi anni. Su questi progetti si concentra l'attenzione della Mind the BridgeFoundation che quest'anno, con il supporto scientifico del CrESIT dell'Università dell'Insubria di Varese, ha voluto comprendere in profondità il fenomeno attraverso un'analisi della "galassia" delle startupitaliane che partecipano annualmente alla sua Business Plan Competition. Dall'analisi dei dati, presentati da Alberto Onetti (Chairman della Mind the Bridge Foundation e Direttore del CrESIT) in occasione del Venture Camp a Milano, emergono indicazioni estremamente interessanti per il 2011. Innanzitutto gli obiettivi di queste giovani startup che, nel 69% dei casi, cercano un finanziamento da Venture Capital. Percentuale che sale fino al 76% se si restringe l'analisi alle società maggiormente strutturate. Al momento, il 40% del panel analizzato ha dichiarato di aver reperito fondi attraverso bootstrapping (risparmi dei fondatori e fondi raccolti all'interno del nucleo familiare o della rete di conoscenti, meglio noto come sistema "family, friends and fools"), mentre un 8% ha avuto accesso anche a grant (finanziamenti in genere destinati al supporto di attività di ricerca in ambito universitario) per coprire parte dei costi di sviluppo dell'idea nelle fasi iniziali. Il 23% ha trovato finanziamenti da investitori terzi, in prevalenza seed (fondi di investimento collegati ad attività di incubazione e business development, 15%) e solo in misura più limitata da venture capital (fondi di investimento specializzati nel capitale di rischio, 4%) e da business angels (tipo di investimenti in forma associata, 4%). Ovviamente, restringendo l'analisi alle società già costituite (59%, contro un 41% di progetti di impresa) crescono le percentuali di accesso a capitali tramite seed (21%), business angels (6%) e venture capital (6%). In particolare, se limitiamo l'analisi alle Top15 semifinaliste dell'edizione 2011, si nota come le fonti di funding siano ancora più articolate ed evolute: oltre al bootstrapping (47% dei casi) e a grant (20%), il 40% circa dichiara di aver avuto accesso al seed financing, il 7% a business angels ed il 13% a venture capital. Il capitale in media raccolto dalle startup ammonta a circa 71 mila euro (dato che presenta tuttavia un'elevata varianza) ma, se si considerano le sole Top15, il dato quasi raddoppia, salendo a 136 mila euro circa, a testimonianza di come i progetti migliori tendano a trovare maggiore accesso a capitali. Tuttavia i soldi non sono tutto, si sa, persino nel business. Parallelamente, si fa sempre più forte (50% degli intervistati) l'esigenza di trovare un partner strategico che possa supportare le imprese nei processi di sviluppo della business idea e portare le competenze al gruppo imprenditoriale esistente. Tendenza che trova conferma anche nell'analisi dei "company seeks" per le Top15. Difatti se tutte le migliori startup confermano di essere alla ricerca di capitali, una percentuale molto ampia (40%) cerca accordi strategici di partnership. I capitali servono, ma il successo non sembra quindi passare solo da quelli. Le alleanze, i contatti, le conoscenza maturate negli anni servono infatti a costituire un ambiente più favorevole e, non a caso, le startup migliori sono quelle con gruppi imprenditoriali con una propensione alla mobilità superiore rispetto alla media. I dati mostrano come i talenti siano attratti da università con alta reputazione e un'offerta di programmi di formazione di eccellenza di cui la nascita di startup risulta una naturale conseguenza. Di qui la criticità di investire nella ricerca e formazione universitaria se si vuole avere un ritorno in termini di nuove imprese innovative. Il popolo degli startupper manifesta una spiccata mobilità, anche internazionale. L'11% dei wannabe‐entrepreneur, una volta ottenuta la laurea triennale, decide di spostarsi verso altre regioni italiane (6%) o all'estero (5%) per proseguire gli studi con un master di primo livello e, tra coloro che inseguono un dottorato di ricerca o un MBA, la percentuale di spostamento sale al 40%: il 20% va all'estero, mentre il restante 20% si muove verso altre regioni italiane. Uno spostamento che in alcuni casi può divenire addirittura definitivo. "Una percentuale importante (9%) - e in crescita nel tempo - di startup ha deciso di costituirsi all'estero. – commenta Alberto Onetti - Questo dato sembra segnalare una carenza di attrattività del nostro paese. Dal momento che oltre il 40% è rappresentato da progetti di impresa ("wannabe startup") non ancora costituiti in società, oggi come non mai diventa fondamentale investire nella ricerca e nella formazione universitaria se si vuole avere un ritorno in termini di nuove imprese innovative e se si vuole evitare, oltre a fughe di cervelli, anche un massiccio ‘corporate drain' ".
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