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Oracle Cloud, il futuro è nell'infrastruttura

La società investirà sempre più risorse per rendere disponibili a livello globale infrastrutture di data center as a service

Cloud

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Il cloud è destinato a diventare l'infrastruttura dominante per il settore enterprise e metabolizzerà gran parte delle risorse IT delle aziende. “I prossimi 12-18 mesi saranno fondamentali per capire come evolverà lo scenario”, dice Fabio Spoletini, country manager di Oracle Italia.

In questa prospettiva cambia, o meglio, si aggiorna la roadmap della società di Larry Ellison, che punta a insediarsi nell'arena dei provider infrastrutturali. Il punto di forza del vendor, già ribadito in passato, è la completezza dell’offerta: partiti dal Software-as-a-Service, la società di Redwood Shores è poi passata dalle parti del PaaS per approdare poi soltanto di recente all’infrastruttura. Ed è qui il vero punto nodale. Perché se è vero, come testimoniato da diversi quadranti magici di Gartner, che in ambito applicativo e di piattaforma Oracle è ormai riconosciuta fra i leader, dal punto di vista delle risorse hardware erogabili sulla nuvola il discorso cambia.

Etichettata come realtà “visionaria”, l’azienda fondata da Larry Ellison non può certamente competere in termini di massa critica con i numeri uno e due del settore, vale a dire Amazon Web Services e Microsoft. Ma non è questo l’obiettivo del vendor. È lo stesso Spoletini a spiegare come l’obiettivo di Oracle sia l’enterprise, capace di smuovere contratti milionari. Soprattutto in questa fase di transizione, in cui molte imprese stanno iniziano a pensare di andare totalmente in cloud, anche con applicazioni critiche.

L’Infrastructure-as-a-Service sta quindi guadagnando sempre più credibilità anche fra le organizzazioni italiane: quasi la metà di loro prevede infatti di gestire il proprio business off-premise nei prossimi tre anni e il 53 per cento è convinto che lo IaaS possa aumentare l’efficienza e accrescere la capacità di innovazione. La nuvola, insomma, piace alle imprese della Penisola e il dato è certificato da Assinform, che per il 2017 prevede una crescita del 23 per cento.

Un trend che si riflette anche sul business di Oracle: nel nostro Paese le soluzioni cloud dell’azienda a stelle e strisce crescono a tripla cifra, con centinaia di clienti e oltre 500mila business user attivi. L’as-a-Service, quindi, “non è più un’opzione ma una precisa richiesta del mercato”, aggiunge Spoletini. Tutto parte sempre dal software (cresciuta a livello globale nel quarto trimestre del 75 per cento).

“Se funziona trascina tutto il resto e coinvolge anche settori relativamente nuovi per noi, come il marketing e le risorse umane”, chiosa il country manager. Il cambiamento si è quindi innescato anche per Oracle, da tempo criticata dagli osservatori per i suoi ritardi in questo mercato (anche se per l’azienda non è importante arrivare prima di tutti, ma farlo al massimo delle proprie capacità). È importante però fissare paletti precisi.

“Diciamo no alle customizzazioni, lasciando campo aperto a qualche personalizzazione per andare incontro ai bisogni specifici dei clienti”, sottolinea Spoletini. “La versione del cloud deve essere quella ‘vanilla’, in modo da adattare i processi alla soluzione e non il contrario: altrimenti si perde il vantaggio immediato dell’off-premise, che va gestito interamente dal provider. Ecco spiegata l’importanza dell’assistenza postvendita, perché nel cloud la soddisfazione è un fattore critico di successo”.  

Al motto di “one size doesn’t fit all” (non esiste una misura uguale per tutti) Emanuele Ratti, country leader cloud infrastructure di Oracle Italia, illustra nel dettaglio l’offerta del vendor: una piramide che ha al suo vertice il Data-as-a-Service (DaaS), formidabile strumento per il marketing e le vendite con miliardi di dati aggregati e anonimi da utilizzare per personalizzare le campagne, e che si spinge più giù fino al livello infrastrutturale.

Ed è questo, come detto, un ambito centrale per Oracle, che a ottobre inaugurerà una nuova cloud region in Germania per erogare potenza di calcolo alle imprese europee. Si tratta di un data center di seconda generazione, il primo del suo genere nel Vecchio Continente e che andrà ad affiancare in termini di design e prestazione le due sale macchine di Ashburn e Phoenix (Usa), già operative. Ogni regione racchiude tre data center interconnessi con quelli di un’altra area, per favorire il disaster recovery.     

L’elemento differenziante a livello di infrastruttura è la topologia del network, che presenta un componente di virtualizzazione cablato direttamente nelle schede di rete: in questo modo è possibile spostare la virtualizzazione dell’I/O sull’hardware, senza ricorrere all’hypervisor che, essendo un software, può essere bucato e fra le altre cose rappresenta un collo di bottiglia.

Un data center definito dal software permette al cliente di scegliere applicazioni e hypervisor, portandoli direttamente in Oracle con prestazioni elevate. Infine non va tralasciato il modello di open innovation promosso dal vendor, che permette la contaminazione “con l’ultimo miglio” e con le tecnologie emergenti, grazie a un ecosistema di eccellenze digitali per prototipare l’innovazione end-to-end. Si va dal progetto Startup Cloud Accelerator a Italia Startup, passando per Startupitalia, Polihub, Talent Garden e Fintechstage.
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