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Censis: l’iniziativa privata soffocata da burocrazia e eccesso di regole

Procedure, adempimenti e carico fiscale zavorrano la ripresa. Con il rischio del prevalere di uno statalismo autoreferenziale. La sola via giudiziaria alla legalità non basta per contrastare la corruzione.

Mercato e Lavoro
Si è tenuto al Censis il terzo dei quattro incontri del tradizionale appuntamento di riflessione di giugno «Un mese di sociale», dedicato quest’anno al tema «Rivedere i fondamentali della società italiana».
Inquesta occasione si è discusso della difficoltà di fare impresa in Italia.
All'incontro sono intervenuti il Presidente Giuseppe De Rita e Anna Italia del Censis, Mario Lupo, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Stefano Parisi, Presidente di Chili Tv, Antonio Polito, Vicedirettore del Corriere della Sera, e Tommaso Valle, Direttore della comunicazione di McDonald's Italia.
Durante l'evento è stato evidenziato che dovendo scegliere tra 15 fattori che ostacolano lo sviluppo delle imprese, il 19,9% degli imprenditori italiani colloca al primo posto la burocrazia statale inefficiente come principale zavorra per chi vuole avviare un'attività economica. Si tratta di una percentuale molto più alta rispetto agli altri grandi Paesi europei: l'8,5% nel Regno Unito, l'8,9% in Germania, il 10,3% in Francia. Al secondo posto gli imprenditori italiani citano l'eccessivo carico fiscale (18,7%), molto più dei loro colleghi tedeschi (10,9%), inglesi (12,8%), spagnoli (12,8%). Gli effetti del cattivo funzionamento della macchina pubblica sono evidenti se si guarda la nostra capacità di spendere i fondi europei della programmazione 2007-2013. A un anno dal termine ultimo, la spesa certificata è di 33 miliardi di euro, ovvero il 71% di quanto programmato. Questo significa che bisognerebbe spendere entro l'anno i residui 13,6 miliardi di euro, oltre 10 miliardi dei quali riguardano le regioni meridionali.Il contesto internazionale è oggi favorevole alla ripresa economica, ma la chimica interna del sistema rischia di frenare la crescita. Nella graduatoria mondiale della World Bank, l'Italia si colloca al 56° posto su 165 Paesi per facilità di fare impresa. Ad esempio per ottenere un permesso edilizio per costruire un capannone, nel nostro Paese servono mediamente 233 giorni (quasi 8 mesi), con un costo delle procedure che arriva fino a quasi il 4% del valore dell'investimento.
Burocrazia e scarsa trasparenza generano un contenzioso complesso e costoso. L'Italia si colloca al 147° posto su 180 Paesi nella graduatoria mondiale relativa alla risoluzione delle controversie commerciali, lontanissima dalla prima posizione di Singapore e più vicina alle performance di Trinidad e Tobago, distante anche da tutti gli altri Paesi dell'Unione europea, con l'unica eccezione della Grecia. Per risolvere una controversia commerciale bisogna passare attraverso 37 procedure e servono in media 1.185 giorni (circa 3 anni e 3 mesi), contro i 394 giorni della Germania, i 395 della Francia, i 437 del Regno Unito, i 510 della Spagna. Peggio di noi in Europa solo Slovenia (1.270 giorni necessari in media per risolvere una causa commerciale) e Grecia (1.580 giorni).
Un altro problema che limita la crescita delle nostre imprese, spingendole spesso all'evasione, è il carico fiscale e gli adempimenti burocratici connessi. Le imprese in regola con le tasse in Italia dedicano in media 269 ore all'anno (circa 34 giorni) agli adempimenti necessari per pagare le imposte, contro 110 ore necessarie nel Regno Unito, 137 in Francia, 218 in Germania. E sono sottoposte a un carico fiscale che è pari complessivamente al 65,4% dei profitti realizzati, contro il 33,7% del Regno Unito, il 48,8% della Germania, il 58,2% della Spagna. Nel nostro Paese pesano particolarmente le imposte sul lavoro, che raggiungono il 43,4% del totale dei profitti (l'11,3% nel Regno Unito, il 21,2% in Germania, il 35,7% in Spagna).

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