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Luci e ombre del cloud computing

Il cloud è sinonimo di nuovo mercato. Se questo è assente non esistono le premesse per un cambiamento significativo della domanda tradizionale

Cloud
Ennesimo incontro sul cloud computing a Milano. Questa volta è The Innovation Group a fare il punto sulla situazione italiana presentando esperienze e punti di vista da parte di clienti e operatori del settore. Le cifre che si hanno a disposizione indicano un mercato in forte crescita, ma l’investimento complessivo, è ancora una frazione marginale, nell’ordine del 5% della spesa globale.

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Il percorso di trasformazione dei sistemi informativi delle imprese, coerente con una logica as a service, è ancora tutto in salita
. Se da una parte si da per scontato che il modello self service a consumo sia destinato a metabolizzare sempre più risorse, infrastrutturali e di piattaforma, così come diversificare il consumo di applicazioni, dall’altra appare evidente che la progressione sia largamente dipendente dalla trasformazione dello scenario economico complessivo.
In relazione allo sviluppo del cloud non va poi poi dimenticata la debolezza del sistema Italia  in termini di pervasività di connettività in banda larga e ultra larga, condizione che rappresenta un fattore limitante la domanda di servizi online. L’indice di penetrazione di connessioni superiori a 10 Mbps è inferiore a quasi tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea (vedi rapporto Akamai sullo stato della connessione Internet in area Emea), un fattore di sottosviluppo che azzera occasioni di cambiamento, in particolare da parte delle PMI, che da un punto di vista teorico dovrebbe essere la componente d’impresa più aperta e disponibile al cloud.
Le aree geografiche che a livello internazionale presentano più dinamismo e più interesse nei confronti di nuovi modelli di erogazione dell’IT sono quelle dove, nell’ultimo periodo, si è conosciuta una crescita economica importante e dove sono stati fatti ingenti investimenti in infrastruttura. Inutile illudersi, il cloud è sinonimo di nuovo mercato, e dove questo è assente non esistono le premesse per un cambiamento significativo, o quanto meno consistente, della domanda tradizionale.
Dove si è radicata un’economia basata su internet, con imprese geneticamente modificate da cromosomi digitali, il cloud ha rappresentato un elemento connaturato alla crescita di questo nuovo mercato. Dove, invece, questa realtà è del tutto o in parte assente la spesa è rimasta strettamente legata alle modalità tipiche di un mercato conservativo.
Per medie e grandi imprese, che hanno in essere infrastrutture e software legacy - ovvero risorse ICT frutto di investimenti pregressi che si sono stratificate nel tempo andando ad esprimere un livello di interdipendenza che impedisce o rende quanto meno molto complicata l’innovazione - è difficile passare da un modello tecnologicamente autarchico, dove è implicito il valore di possesso e proprietà, a un modello dove si conferisce a terzi l’onere della gestione infrastrutturale.
Il computing come utility è un concetto che non si è ancora sostanziato: per molte aziende, allontanarsi da un modello on-premise significa perdere controllo e il cloud viene visto come una bleeding edge technology dove la componente di rischio è superiore ai vantaggi che si suppone possa generare.
Esiste una sorta di pensiero distorto. Si pensa che la crescita e l’espansione del cloud sia in larga misura legata alla trasformazione dell’IT tradizionale. C’è invece da chiedersi se la crescita del cloud non vada individuata in quelle aree di mercato riferibili a fenomeni come Big data e IoT, o ancora, al cambiamento del DNA industriale, che vede una sua corrispondenza nel neologismo dell’Industry 4.0. Per dirla in estrema sintesi, la spinta a ricercare nuove logiche di sourcing dell’IT è direttamente proporzionale alla creazione di nuovi mercati e imprese (vedi Information Technology, un mercato superato?).
Pubblico, privato, ibrido. Ci si continua a interrogare su quale sia l’approccio più corretto, o quale sia la declinazione del cloud che in futuro verrà privilegiata dalle aziende. La risposta è implicita in quello che abbiamo precedentemente affermato: se il profilo imprenditoriale è in massima parte costellato dalla presenza di soggetti di business ordinari il cloud si configura come una risorsa per un’ eventuale estensione dell’esistente (vedi Il cloud come variabile dell'integrazione), utile per lo più a operare un lifting tecnologico senza alterare il delicato equilibrio del conglomerato hardware e software d’impresa (per approfondire vedi IT ibrido per un'economia ibrida). Del resto, per buona parte delle organizzazioni, un ambiente virtualizzato è sufficiente a rispondere alle esigenze del business corrente. Solo se quest’ultimo diventa stra-ordinario si può prevedere una maggiore adesione al cloud.
Non dimentichiamo poi che in Italia la spesa IT è ad altissima concentrazione. Le 40 aziende quotate al FTSE MIB, in buona sostanza riferibili al mondo finanziario e alle utility, assorbono più del 50% dell’investimento complessivo ed esprimono un business ordinario con un’attenuata propensione al cloud, quest’ultimo visto per lo più come fattore di differenziazione per alcuni tipi di servizi.
Anche in Italia il cloud è destinato a crescere, ma i progressi devono essere contestualizzati in una dimensione più ampia da quella definita dall’audience che ha sinora contribuito alla determinazione della spesa IT. In quelle aziende dove esiste un ERP, sistemi di collaboration, un po’ di BI, è difficile ipotizzare una migrazione massiva del core IT in cloud. L’espansione, ancora una volta, è dipendente dalla creazione di nuovi servizi e imprese. Il percorso di affermazione del cloud sarà quindi lungo e, probabilmente, il profilo di spesa ad esso associato sarà largamente svincolato dall’investimento IT tradizionale.
Due, infine, i motori che potranno contribuire a un crescita organica del cloud in Italia:
  • la realizzazione di una moderna ed efficiente infrastruttura di data center della Pubblica Amministrazione per l’erogazione di servizi convergenti, così come prospettato dall’Agenda Digitale Italiana (come affermato dall’AD di Consip, Domenico Casalini, esiste già un bando di gara in più lotti per un valore complessivo due miliardi di euro). Interventi che vanno di pari passo con Trasformazione digitale e nuove regole di mercato
  • la progressiva trasformazione delle competenze e modello di business dell’ecosistema dei partner dei rispettivi vendor in modo tale che si possa portare nelle aziende una proposta allineata alle opportunità del cloud computing  (vedi il caso Microsoft e IBM)
A conclusione del tutto, un'ultima riflessione:

A coloro che affermano che il cloud modifichi poco o nulla, che il big data e l’IoT siano solo delle chimere e appartengano all’utopia del marketing digitale, a chi è convinto che si possa rimanere uguali, poiché le cose continueranno a essere sempre più o meno identiche a se stesse, a chi continua a vedere l’informatica come unica e immutabile, a chi pensa che conservare sia un’aspirazione legittima per contrastare il nuovo che tutto distrugge, a chi pensa che l’Italia non soffra di un arretramento digitale, un saluto e un arrivederci ai prossimo ventennio.
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