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L'organizzazione del lavoro? Un processo tutto da inventare

La sfida? Rendere coerente la tecnologia con processi semplificati ed efficienti. Per Nicola Uva di ADP Italia è questo il nodo cruciale da risolvere

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La sfida? Rendere coerente la tecnologia con processi semplificati ed efficienti. Per Nicola Uva - Strategy & Marketing Director di ADP Italia intervenuto nel corso di un recente seminario promosso dalla multinazionale americana dell’organizzazione del lavoro e risorse umane - è questo il nodo cruciale per far sì che vi sia un reale ritorno dall’investimento IT.
Semplice da dire, difficile da fare. Le aziende sono spesso disorientate rispetto a quanto di nuovo continua ad apparire sul mercato. Per riuscire a metabolizzare nel codice genetico delle old companies nuovi paradigmi di comunicazione e distribuzione delle informazioni, introdotti grazie all’affermazione di dispositivi mobili, così come riuscire a definire un ambiente di lavoro collaborativo o introdurre il paradigma dell’IT come servizio, vedi cloud, serve la capacità di trasformare l’esistente verso obiettivi che devono porsi orizzonti temporali di sviluppo e di crescita che non possono ridursi a visioni tattiche di breve periodo, che si esauriscono in un effimero immediato.
Viviamo nell’era dell’ipercambiamento dice Uva citando Brian Solis, affermato consulente e analista di Altemeter Group. Ciò significa che se le aziende non sanno evolvere in sintonia con la trasformazione dell’esistente sono destinate a essere superate da altre aziende più competitive e più reattive. Ma come possono le aziende essere in grado di cambiare? Può avere luogo un cambiamento organico, che si sviluppa solo grazie all’illuminata capacità di coloro che hanno contribuito con successo alla crescita ed evoluzione dell’operatività e del business attuali? Difficilmente.
La possibilità di trasformazione e adeguamento coerente con un mercato/società in continuo divenire può rivelarsi tale soltanto acquisendo capitale umano capace di rapportarsi spontaneamente alle nuove tecnologie differenziandosi dall’implicito conservatorismo cui tende mediamente a esprimersi l’immigrante digitale. Il new deal della internet economy non è un paese per vecchi. Ma l’una componente non esclude l’altra. La condizione ideale? Trovare una forma organizzativa equilibrata, che possa innescare un'osmosi di know-how, una trasmissione di conoscenza asincrona, bidirezionale, che generi un travaso di conoscenze dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso.
A questo proposito Walter Passerini, giornalista de La Stampa che ha coordinato l’evento ADP, osserva come spesso si ragioni per stereotipi e analisi semplicistiche. E’ il caso, di tutte le aspettative riposte nei talenti, parola, dice Passerini, iperabusata e pertanto svuotata del suo reale significato e valore. Un’organizzazione ha successo se riesce a collocare una persona nella giusta posizione facendo in modo che essa possa esprimere al meglio il suo potenziale. E’ in questo senso che deve essere intesa la valorizzazione del capitale umano. La parola talento scade altrimenti nell’accezione più folcloristica. Il talento, o la generale associazione talento=genio, non determina di per sé un valore aggiunto: la presenza di un genio all’interno di un’organizzazione, osserva Passerini, può anzi produrre più danni che vantaggi.
Ma attenzione, semplificazione dei processi non significa semplicismo. Semplificare è l’arte più complessa ed è un obiettivo che l’investimento tecnologico, a volte, non riesce a traguardare. L’introduzione di tecnologia può determinare il contrario di quanto fissato dagli obiettivi originari. Può introdurre livelli di complessità ulteriore. Si parla tanto di azienda digitale, di semplificazione acquisibile attraverso l’automazione, ma in assenza di una orchestrazione intelligente si generano organizzazioni tecnologicamente disfunzionali, che possono causare un aggravio di costi senza determinare semplificazione e vantaggi operativi e di business.
Big Data, Mobilità, Social Network, Cloud, l’orizzonte tecnologico appare alle aziende come una sorta di effetto morgana, qualcosa di attraente ma di indefinibile. L’hype che caratterizzza le nuove tecnologie è controproducente. Le parole abusate perdono di significato, si assiste a quello che Passerini definisce la legge dell’annullamento semiotico, dove le troppe parole e la loro scarsa, se non nulla, messa in pratica cancellano la concretezza dei fenomeni e li riducono a comparse della mediaticità.
Tutti concordano in linea teorica sulla validità dei nuovi modelli di business e organizzativi riferibili alle emergenti tencologie, ma se si guarda bene cosa davvero è stato costruito sulle nuove tecnologie, quanto esse abbiano inciso sulla trasformazione delle aziende italiane nell’ultimo decennio, ci si trova di fronte a un vuoto immobilismo
. Altro che Imprese alla Web 2.0, 3.0, la somma delle trasformazioni a oggi attuate – dice Passerini - è prossima allo zero. Eppure, da un periodo nel quale si tendeva a subire la globalizzazione si è oggi arrivati a una globalizzazione intesa in positivo, capace di generare valore, favorire nuova espansione su mercati esteri.
Rifacendosi al sociologo Sygmunt Bauman, Uva osserva come le aziende siano immerse in una società liquida, dove la propria esistenza e sostenibilità può essere concepita soltanto avendo un’organizzazione liquida, che possa progressivamente adattarsi ai diversi contesti. Se il contenuto azienda non ha la caratteristica di liquidità necessaria ad adattarsi al contesto di riferimento, l’azienda è out o quanto meno fatica a cogliere le opportunità che si vanno progressivamente delineando. Domanda finale: ma se viviamo in un’epoca di ipercambiamento, e il cambiamento diventa una costante, non esiste cambiamento. Il reale cambiamento sarebbe dato dall’assenza di cambiamento. Ergo, siamo destinati alla normalità del cambiamento. Difficile essere normali.  
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