L’acquisizione di Nest Labs da parte di Google rende un po’ più concrete le prospettive e il peso che assumerà l’Internet delle Cose.
Qualche giorno fa si è diffusa la notizia che
Google ha
speso oltre 3 miliardi di dollari per assicurarsi
Nest Labs, ovvero uno specialista della domotica, che oggi sta evolvendo verso il più esteso concetto di
Internet delle Cose.
Evidentemente, non si può pensare che il leader incontrastato dei motori di ricerca, con interessi fortissimi nel mondo della
mobilità e dei
big data, possa aver investito così tanto solo per ampliare il proprio business in direzione dei rilevatori di fumo o dei termostati intelligenti.
Nel corso dell’ultimo anno, ha iniziato ad affermarsi il concetto di “
quantified self”, ovvero degli
oggetti connessi che possono fornire indicatori sullo stato di una persona: parliamo di bilance, calcolatori di attività fisiche o sistemi che analizzano la qualità del sonno. Questo percorso è solo un esempio di come la nostra vita di individui e di esseri collettivi sia sempre più legata alla presenza di
sensori e strumenti di controllo, che offrono dati puntuali ai singoli, ma in scala ne possono produrre in quantità, che poi vanno analizzate e ricombinate per ricavarne informazioni su gruppi, indicatori di comportamento, preferenze nei consumi e negli stili di vita.
Su questo sta veramente lavorando Google, ovvero la possibilità di raccogliere una collezione inestimabile di dati personali, che vanno dalle identità alle modalità di ottenere informazioni, dagli spostamenti alle abitudini private e professionali. Su questa enorme base, il vendor può mettere a frutto la propria esperienza in termini di algoritmi per
l’analisi e l’interpretazione dei dati, combinando ciò che già possiede del mondo virtuale con quanto ricavato da quello fisico.
Una combinazione di monopolismo e apertura
Riproducendo la ricetta
Android, ovvero aprendo parte della propria tecnologia ad altri costruttori, pur lasciandosi l’accesso privilegiato ai dati raccolti, Google può realizzare il più sofisticato ed esteso sistema di monitoraggio delle vite delle persone. Lo scenario è evidentemente inquietante se rapportato alla salvaguardia della privacy di ciascuno di noi e su questo è auspicabile che quanto prima almeno l’Europa produca una normativa chiara nei termini e nelle limitazioni.
Appaiono all’orizzonte, però, anche opportunità da non trascurare in chiave positiva. Per fare un esempio, si potrebbe arrivare alla
condivisione di dati personali fra pazienti e medici, per poter consentire a questi ultimi di seguire in tempo reale determinati parametri e reagire in caso di anomalie evidenti. Quanto questo possa essere realmente applicabile in Italia è tutto da vedere, ma l’opportunità esiste.
Molte tecnologie, come quella appena descritta, sarebbero già disponibili, ma sono costose e soprattutto proprietarie. Google potrebbe standardizzarle e renderle abbordabili, com’è già accaduto con Android. Una simile logica apre scenari interessanti in termini di divulgazione delle tecnologie a noi cittadini occidentali come a quelli dei paesi meno industrializzati. Dall’altro lato, indica come il potere dei dati e della capacità di interpretarli si possa scontrare con la nascita di nuovi monopoli, con risvolti sul futuro non proprio rassicuranti.
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