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Agenda digitale, l'Italia che vorremmo

Il percorso verso l'attuazione del decreto Crescita 2.0. Riuscirà il Governo Letta a dare effettiva continuità a quanto stabilito dal Governo Monti?

Mercato e Lavoro
Agenzia Digitale. Siamo in mezzo al guado o possiamo pensare positivo? Il tentativo di mettere a punto un insieme di risorse per avviare tutta una serie di innovazioni (vedi programma dell’Agenda Digitale) orientate ad accelerare la creazione di infrastrutture e servizi, deve essere ora traslato nello scenario politico che si è venuto a configurare dopo una lunghissima mediazione istituzionale.
Il Governo Letta darà effettiva continuità a quanto stabilito dal Governo Monti? L’intenzione sembrerebbe esistere, ma tra il dire e il fare, come sappiamo, c’è di mezzo il mare. E che mare! Mare tempestoso, da cui la nuova compagine governativa deve attingere un numero sufficiente di risorse per portare a termine quanto promesso. Si tratta di scelte essenziali per lo sviluppo del Paese e che pertanto ci si si augura vengano considerate tali anche da un Governo la cui azione si dice ispirata a rilanciare un’economia depressa. Non aiuta il fatto che all’inizio di maggio, in seguito a un parere espresso dalla Corte dei Conti, il Governo abbia bloccato l’operatività dell’Agenzia ritirandone lo Statuto.
Cosa contesta la Corte dei Conti? Da un lato la possibilità per l’Agenzia di dotarsi di un organico di 150 persone, mentre secondo il decreto Crescita 2.0 avrebbe avuto diritto a un numero inferiore di persone, 120 circa. Dall’altro,  a essere messa in discussione dall’organo di controllo è la facoltà concessa al direttore generale Agostino Ragosa di stipulare contratti a tempo determinato per assumere come dirigenti persone di elevata professionalità, facoltà che viene considerata una possibile minaccia a contenimenti della spesa pubblica.

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Nella discussione sull’attuazione dell’Agenda Digitale sono emerse anche alcune positive riflessioni, tese a individuare una migliore strutturazione dell’Agenzia. Secondo alcuni esponenti politici, l’organismo di governance, deputato a dare continuità a concretezza alle politiche sul digitale, deve essere messo nella condizione più opportuna per accelerare e conseguire obiettivi in tempi rapidi. Quindi non un’agenzia subordinata a cinque ministeri, come originariamente previsto (Sviluppo economico, pubblica amministrazione, coesione territoriale, istruzione, economia e finanza), ma sotto il controllo diretto di un singolo ministero, quello dell’Innovazione.
Ovviamente si spera che gli incidenti di percorso e la forma organizzativa vedano una soluzione il prima possibile. I tempi  di attuazione delle misure più urgenti, contenuti nel decreto crescita 2.0, devono essere rispettati: l’Anagrafe digitale nazionale - il documento digitale che si propone di unificare carta d’identità, tessera sanitaria e carta nazionale dei servizi -, il fascicolo sanitario elettronico, la possibilità di estendere e rendere efficace ed effettivo il pagamento elettronico nei confronti della Pubblica Amministrazione, il domicilio digitale e tutto ciò che riguarda il tema della trasparenza e gli open data così come la strategia per le smart cities.
Un libro dei sogni? Speriamo di no sebbene si possano già riscontrare evidenti ritardi. Al di là degli obiettivi di prima attuazione appena citati il decreto metteva al centro tutta una serie di iniziative volte anche a un uno sviluppo complessivo di un’economia digitale. Come affermato dall’ex ministro Corrado Passera nella scosa legislazione “il decreto rappresenta l’Italia che vorremmo. Sarà più facile dar vita ad una impresa startup a condizione che riguardino progetti con un grande contenuto di innovazione. Infrastrutture e servizi digitali, nascita e sviluppo di startup innovative, strumenti fiscali per agevolare la realizzazione di grandi opere con capitali privati, attrazione degli investimenti esteri in Italia, interventi di liberalizzazione in particolare in campo assicurativo. Le nuove norme puntano, in modo ambizioso, a fare del nostro Paese un luogo dove l'innovazione rappresenti un fattore strutturale di crescita sostenibile e di rafforzamento della competitività delle imprese”.
Se davvero venissero attuati i piani contenuti nel decreto si farebbero dei grandi passi avanti per ridurre il divario digitale dell’Italia. Ricordiamo che in Italia solo poco più del 22% della popolazione usa il web per interagire con la PA a fronte del 41% della media europea. La distanza che separa il dato nazionale da quello medio europeo aumenta se si misura la quota di cittadini che ha inviato documenti alla PA via web negli ultimi dodici mesi: in questo caso, infatti, si va dal 20% del dato medio relativo all’UE al più modesto 7,6% dell’Italia (penultima posizione in Europa). Nel caso delle imprese, la situazione è solo parzialmente migliore. Nel 2011 circa il 76% di queste ha interagito online con la PA, a fronte di una media europea di circa 84% (anche in questo caso penultimi in Europa).
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