Dal Symantec Disaster Recovery Research Report 2009 emerge che in Italia la spesa IT relativa al Disaster Recovery sia in una fase di stallo, nonostante la necessità di miglioramenti negli ambienti virtuali e nei test.
La quinta edizione “
IT Disaster Recovery”
di Symantec mette in luce una crescente pressione nei confronti delle organizzazioni dovuta all'incremento dei costi legati al
downtime e ai più rigidi requisiti di
Service Level stabiliti per mitigare il rischio aziendale. Lo studio ha inoltre evidenziato come non sia previsto per i prossimi anni alcun aumento deii
budget relativi al Disaster Recovery (DR), mettendo in questo modo i professionisti IT nelle condizioni di dover ottenere di più con risorse uguali o inferiori.
La ricerca, condotta su un campione di 1
.650 IT manager di grandi aziende, di cui 50 italiane, ha rivelato che, a livello globale, i
test e la
virtualizzazione continuano a rappresentare in questo campo una delle maggiori sfide per le imprese.
Secondo gli intervistati i test delle strategie Dr producono un impatto sempre più forte su clienti e fatturato, e un test su quattro fallisce. Un terzo circa dei programmi di disaster recovery delle imprese non prevede test sugli
ambienti virtuali; una percentuale di ambienti virtuali di poco superiore non risulta avere un sistema di
backup regolare, evidenziando la necessitàil bisogno di più strumenti di automazione capaci di funzionare attraverso tutti i vari ambienti.
[tit:Strategia e piani di Disaster Recovery]
La ricerca di Symantec mostra uno scenario italiano allineato alle
tendenze globali: per gli intervistati italiani gli attacchi dei
virus ( 64%) e i
disastri naturali ( 48%) sono le principali cause che spingono le aziende a creare una strategia di Disaster Recovery, mentre
web server ( 60%) e i
database server( 50%) sono le principali tecnologie aziendali attualmente coperte da un piano di Disaster Recovery, seguite dalle applicazioni, per esempio l’
Erp (48%) e dalle
email ( 40%). Secondo i risultati del sondaggio, in Italia il costo per l'esecuzione o l’implementazione di un piano di disaster recovery per ciascun caso di downtime ammonta a circa
65.000 dollari. Un dato preoccupante se si considera che un test su quattro fallisce e che la quasi totalità delle imprese si è trovato a dover mettere in atto il proprio piano di disaster recovery. Gli intervistati hanno riferito che il tempo medio impiegato per ripristinare le attività aziendali di base a seguito di un caso di interruzione del servizio è di circa cinque ore, che salgono a sei per ritornare a una situazione di completa normalità e produttività.
[tit:Test migliori, ma c'è ancora da fare]
Quest'anno il 26% degli intervistati italiani ha riferito di eseguire i test Dr con una frequenza semestrale, mentre il 22% con frequenza annuale. Inoltre, è emerso che un test su quattro si rivela fallimentare, evidenziando una forte necessità di miglioramento in questo senso. Le aziende non effettuano test, prevalentemente per:
mancanza di risorse in termini di tempo del personale (44%)
interruzione delle attività per i dipendenti (44%);
problemi di budget (40%);
disservizi ai clienti (34%). Molte aziende ritengono che l'impatto dei test di disaster recovery si ripercuota in modo su clienti, fatturato e brand reputation. Il 48% degli intervistati italiani ha, infatti, ammesso che questo tipo di test peserebbe sulla propria clientela e sulla
brand reputation, il 46% che impatterebbe su vendite e utili, il 42% sulla
perdita dei dati e sulla
competitività.
[tit:Virtualizzazione: una grande sfida]
La virtualizzazione è da considerarsi una grande sfida: per il 62% degli intervistati italiani la virtualizzazione è la ragione che porta a rivedere i piani di disaster recovery, mentre la metà dei
server virtuali utilizzati in azienda è coperta da un piano di Dr. Il 46% ha indicato nella differenza degli strumenti per gli ambienti fisici e virtuali come le sfide maggiori alla protezione dei dati negli ambienti virtuali, mentre il 40% ha segnalato la mancanza di capacità storage per il
backup e di
strumenti avanzati di recovery.
A livello mondiale la ricerca ha rivelato per la metà degli intervistati alcuni elementi degni di nota: la mancanza di strumenti per la gestione storage costituisce la sfida primaria nella protezione dei dati e delle applicazioni mission-critical all'interno degli ambienti virtuali (53%); le limitazioni in termini di risorse (personale, budget e spazio) rappresentano le maggiori sfide alle procedure di backup delle macchine virtuali, innescando la necessità di una maggiore automazione e di una migliore capacità nel fare leva sugli investimenti It esistenti con l'obiettivo di abbassare i costi (51%).
[tit:Qualche suggerimento]
La mancanza di risorse rappresenta un problema; ciò che le aziende possono fare in questa direzione è implementare
soluzioni di automazione che minimizzino l'azione umana e che risolvano anche altri punti deboli presenti nei
piani di disaster recovery. Dato che i test di disaster recovery sono inestimabili ma rappresentano pur sempre un rischio di impatto sostanziale sull'azienda le imprese dovrebbero ottimizzare il successo dei test implementando metodologie trasparenti nei confronti della loro operatività.
E' auspicabile che le aziende inseriscano nei piani di disaster recovery i
responsabili della virtualizzazione, soprattutto in merito alle iniziative di test e backup. Gli ambienti virtuali dovrebbero essere trattati come server fisici, e le aziende dovrebbero essere disposte ad adottare strumenti
multi-piattaforma e
multi-ambiente, o a standardizzarsi su un numero inferiore di piattaforme.