Ibm renderà disponibili servizi e software in un’architettura open cloud basata su OpenStack, il progetto Infrastructure as a service rilasciato sotto licenza Apache e gestito dall’OpenStack Foundation cui aderiscono oltre 150 società, tra cui Hp e Dell.
L’interoperabilità tra i differenti servizi accessibili on demand si va prospettando come uno dei maggiori problemi dell’IT as a service considerato che nel medio e lungo periodo, come affermato più volte dagli analisti, si va verso uno scenario dove il sourcing dell'IT delle imprese sarà sempre più frammentato tra cloud eterogenei.
La possibilità, quindi, di avere
un ambiente architetturale consistente tra le diverse cloud, pubbliche e private, assume una primaria importanza. E in questo contesto, come spesso ormai accade nel mondo del software, l
a trasversalità di un comune stack tecnologico, viene ricercata nel mondo open source. A testimonianza della volontà di perseguire questi obiettivi di standardizzazione è l’annuncio da parte di
IBM di rendere disponibili servizi e software in un’architettura open cloud basata su
OpenStack , un progetto Infrastructure as a service open source rilasciato sotto licenza Apache e gestito dall’OpenStack Foundation cui aderiscono oltre
150 società, tra cui Hp e Dell.
Per le imprese la
convergenza verso uno standard aperto significa poter procedere a investimenti con più tranquillità, senza correre il rischio della sindrome da vendor lock-in. Una volontà, quella espressa da Ibm, che dovrebbe garantire a tutti quei clienti che già oggi si appoggiano a infrastutture cloud di proseguire su un percorso evolutivo che possa trarre il massimo vantaggio da un ambiente ibrido
pubblico-privato. Che l’apertura verso l’open source sia una mossa tattica piuttosto che strategica è tutto da dimostrare. Eppure i precedenti lasciano supporre che Ibm ci creda veramente. Basti pensare a quanto accaduto con Linux, diventato oggi una componente di sistema operativo pienamente integrata all’interno dell’hardware Ibm.
Insomma, il cloud, a detta di molti osservatori, deve riuscire nel tempo a esprimere una progressiva standardizzazione,
poiché la frammentazione tra architetture proprietarie è un ostacolo alla sua evoluzione complessiva.
In assenza di standard il cloud è destinato a essere sempre più complesso e non sufficientemente flessibile e coerente per dare modo ai clienti di attuare investimenti volti a configurare un ambiente ibrido pubblico-privato.
In questo scenario
OpenStack viene riconosciuto come il sistema operativo per il cloud su cui il maggior numero di operatori e provider sta convergendo. Ma ovviamente la scelta di privilegiare un software open source è implicitamente connessa a una battaglia tra i vari player del settore.
Dalla scelta OpenStack divergono infatti aziende come Amazon e Vmware che, al momento, hanno tutto l’interesse nel mantenere in essere un percorso alternativo.
Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere sempre informato con le notizie di
ImpresaCity.it iscriviti alla nostra
Newsletter gratuita.