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Italia digitale, un’occasione per crescere

Tra i tanti interrogativi sulle prospettive economiche emerge una nuova dimensione di investimento che privilegia le tecnologie più innovative

Trasformazione Digitale Mercato e Lavoro
Secondo quanto emerge dai dati dello studio realizzato da Assinform, Confindustria Digitale in collaborazione con NetConsulting cube e il Politecnico di Milano, nel 2015 il valore del mercato mondiale digitale (espresso in dollari e in valuta costante) è cresciuto del 2.4%. Il che vuol dire che al netto delle fluttuazioni del dollaro la crescita è stata prossima allo zero.

Il rallentamento delle economie dei Paesi emergenti, in primis la Cina, ma in generale di tutto il mondo asiatico e del Sud America, associato alla persistente fragilità dell’Europa e alla moderata espansione del mercato USA, indicano una criticità per il 2016. Una nuova fase espansiva dell’economia mondiale è del tutto imprevedibile. Sarà soprattutto quest’ultimo parte dell'anno a determinare il consuntivo di fine anno.

L'economia mondiale è a rischio, afferma l’Fmi: la Brexit e l'incertezza innescata minacciano di rallentare la già debole ripresa in atto. Nel World Economic Outlook (WEO dell’aprile scorso, si prevedeva un rialzo del Pil globale del +3,2%, inferiore dello 0,2% rispetto alle stime di gennaio. Resta ora da vedere quanto questa proiezione possa essere ulteriormente compromessa dall’instabilità innescata dalla Brexit.

Per quanto riguarda l’Italia l’Fmi ad aprile stimava un aumento del Pil a un ritmo su base annua +1% nel 2016 e dell’1,1% nel 2017. Ancora, anche per quanto l’Italia, questi ultimi rappresentano incrementi minimi peraltro sovvertibili dalle dinamiche che seguiranno il percorso intrapreso dalla Gran Bretagna. Accontentiamoci di un moderato ottimismo e guardiamo in positivo.  

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Il trend italiano
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Il consuntivo del 2015 è stato di 64,9 miliardi di euro per una crescita complessiva dell’1%. Se pur inferiore alle aspettative il dato conferma un’inversione di tendenza importante poiché il mercato ICT era in contrazione dal 2008. In questa lunga fase recessiva l’Italia ha perso posizioni su posizioni e il divario tecnologico si è ampliato in quello che oggi viene definito come divario digitale. Secondo l’Indice digitale europeo l’Italia è in 25ma posizione. Un dato certo non brillante, ma abbiamo oggi l’occasione per ripartire. La crescita prevista per il 2016 è dell’1,5% e le proiezioni per il triennio 2016-2018 indicano un ulteriore progresso che porterebbe il valore degli investimenti dagli attuali 64,9 a 68, 4 miliardi di euro, pari a un tasso di crescita medio annuo dell’1,7%.

Il dato più interessante che emerge dall’analisi di NetConsulting è che la spesa si sta sempre più caratterizzando per la presenza di investimenti orientati verso le aree tecnologiche più innovative. Cloud, big data, mobile e IoT presentano una crescita a doppia cifra e questa dinamica è destinata a continuare nel prossimo triennio. Il tasso di crescita medio annuo nel triennio 2015-2018 è del 15% con crescite che vanno dal 17% del social al 23% di cloud e big data, con volumi di spesa previsti nel differenziati e concentrati in particolare nel mobile (2,7 miliardi) nell’IoT (1,8 miliardi) e nel cloud (1,4) miliardi.

Il big data mantiene invece una dinamica espansiva più contenuta con un valore stimato in 518 milioni di euro. Quest’ultima è una dimensione di investimento che riguarda ancora una percentuale ristretta di aziende (il 17%). Tuttavia, di anno in anno si registra un’estensione differenziata per aree e valore di investimento. Sono soprattutto le banche a essere protagoniste nell’adozione di questa tecnologia (29%) seguono l’industria (21%) e le telco (14%).

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“I tassi di incremento a due cifre degli investimenti nelle tecnologie abilitanti il digitale, afferma Agostino Santoni, presidente di Assinform - se contestualizzati nell’ambito dei servizi digitali, informatici e del software, che in volume rappresentano la parte più consistente del mercato, ma crescono a una cifra, evidenziano che è in atto un vivace e robusto fenomeno di infrastrutturazione innovativa, che tuttavia riguarda ancora una frazione troppo limitata del Paese. Soprattutto le piccole e medie imprese, che costituiscono il 99% del nostro tessuto produttivo e contribuiscono a più del 50% del Pil, così come gran parte della Pa, continuano a rimanere ai margini dell’evoluzione digitale”. 

La dimensione innovativa
Per quanto riguarda il volume di fatturato proiettato in questa nuova dimensione digitale è utile fare alcune riflessioni. Quali? Beh, in primo luogo, come dice Giancarlo Capitani, che i diversi fattori dispesa sono interdipendenti, ovvero un progetto in una singola area tecnologica viene associata in una dimensione più ampia, sinergica con una o più delle altre aree. In definitiva un qualsiasi progetto ispirato a una trasformazione digitale può prevedere una molteplicità di interazione tra gli elementi che si caratterizzano come driver dei nuovi investimenti.

Un’altra importante considerazione riguardo alle nuovi voci di spesa è che queste contribuiscono a sostenere la crescita complessiva del fatturato tradizionale, dal punto di vista applicativo e infrastrutturale.La diversa specificità degli investimenti apre la strada a progetti basati su competenze del tutto diverse dal passato e l’Italia, anche in questo caso, appare più in difficoltà rispetto ad altri Paesi europei.

Competenze sempre più richieste appartengono ad aree specialistiche: mobile, data science, Internet of things, così come l’indispensabile expertize in ambito di enterprise, che andrà sempre più a fondersi con il cloud. Per quanto riguarda lo smart manufacturing, o la fabbrica intelligente, IoT e analitycs sono gli elementi di fondo abilitanti non tanto un’automazione più avanzata - cosa quest’ultima che dovrebbe teoricamente essere già stata realizzata adottando le tecnologie rese disponibili fino a oggi - ma un nuovo modo di fare impresa.

Il percorso di crescita è però ricco di incognite: dalle ultime indagini dell’Osservatorio risulta che 2 persone su 5 non sa cosa sia industria 4.0 mentre solo il 7% dichiara di avere già implementato soluzioni di questo tipo.È possibile valutare sinteticamente il valore della digitalizzazione delle imprese italiane? Secondo i dati Istat il tasso tecnologico delle imprese italiane è mediamente basso e direttamente proporzionale alla dimensione dell’organizzazione. Una più diffusa innovazione deve quindi permeare tutto il tessuto industriale italiano – piccole, medie e grandi imprese. Quello che appare più difficile, seppur non impossibile, è riuscire a far approdare al nuovo contesto quella grande fetta di aziende che poco ha investito negli anni in ricerca & innovazione dove le soluzioni tradizionali più complesse sono scarsamente diffuse.
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