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Uber, perché no?

Libera concorrenza in un sistema di vuoto normativo. Il caso Uber e la sostenibilità di un'economia dgitale

Trasformazione Digitale
Mobilità e servizi digitali, Internet e smartphone. Molte sono le cose che cambiano le nostre abitudini di vita con le potenzialità che possono esprimere le nuove tecnologie. Eppure i problemi sono enormi, di tipo normativo innanzitutto. Inevitabilmente i servizi che si affacciano sul mercato mettono in discussione il sistema tradizionale. L’economia digitale si rivela estremamente conveniente da un punto di vista fiscale, si opera globalmente e ci si sottrae alla legislazione locale. Si pagano meno tasse, in definitiva.
Le multinazionali di internet hanno trovato un terreno fertile, in assenza di una legislazione ad hoc, per competere con l’economia tradizionale. Certo, i servizi digitali portano vantaggi per il consumatore. Di molti di essi non vorremmo farne a meno. Ma si deve raggiungere un punto di equilibrio. Concorrenza sleale? In parte sì poiché i nuovi servizi non devono sottostare alle regole cui invece deve rispondere chi svolge un’attività tradizionale, quest’ ultima impostata su normative che dovrebbero essere adattate al digitale per far spazio a nuova concorrenza portando vantaggi al consumatore.
Non si può rinunciare a una maggiore efficienza, disponibilità, così come a benefici economici solo in virtù di una impossibilità a cambiare. Si deve cambiare, ma creando delle regole. Caso emblematico di questo impasse economico-legislativo è Uber il servizio che permette di prenotare un'auto con conducente tramite smartphone. Il telefono ci localizza e noi paghiamo tramite carta di credito dopo aver effettuato la corsa. Uber, fondata nel 2009 a San Francisco, è attiva in 100 città di 36 paesi diversi.  
Il crescente utilizzo di questo servizio ha causato la sollevazione dei tassisti di tutte le maggiori città europee. Milano, Berlino, Bruxelles, Parigi. I tassisti hanno incrociato le braccia per protestare contro l'app, sempre più diffusa soprattutto tra giovani e turisti. Anche a Milano, nella primavera scorsa auto ferme contro la concorrenza di Uber, vogliamo "difendere la legalità e il servizio pubblico" spiegavano i tassisti. ultima la città di Francoforte, il cui Tribunale ne ha imposto in questi giorni il divieto. Ma si continua a essere in balia di provvidimenti parziali, con accuse e contro accuse che determinano decisioni contrastanti.
Uber non si arrende. Nei nostri confini dopo i nuovi disordini di giugno è il ministero dei Trasporti a doversi pronunciare. A Londra la situazione è altrettanto complicata. Stessi problemi in Francia e Spagna. Come si osserva, la sede più competente per affrontare il problema sembrerebbe a questo punto Bruxelles, dal quale è arrivato l'invito del vicepresidente della Commissione europea ad aprire un dialogo costruttivo.
Uber sostiene che gli interventi dei tribunali europei limitano la scelta del consumatore. “Come nuovo operatore portiamo concorrenza in un mercato che non è stato mai soggetto a nessun cambiamento. La competizione è utile a tutti poiché stimola l’innovazione e alla fine dei conti è comunque l’utente a dover essere messo nella condizione di compiere una libera scelta”. Vero, ma se si vuole essere un’azienda che svolge un servizio pubblico si deve sottostare alle stesse leggi che regolano coloro che attualmente esercitano questa professione. La questione, quindi, non è di impedire a Uber di svolgere il suo servizio, ma di prevedere una legislazione che ne regoli l’attività lasciando spazio a concorrenza in un settore che funziona con logiche protezionistiche.   
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